Cattedre – La scuola ingiusta parte da lontano
Nella grande sala affrescata l’aria è umida, pesante. I presenti cercano di assestarsi alla meglio sulle scomode sedie e parlottano tra loro, nervosi, mani che stringono borse voluminose, portacarte professionali, sacche da spiaggia, obsolete cartelle di cuoio nero. Di fronte a loro, i funzionari della Direzione scolastica regionale, seminascosti da montagne di tabulati e di moduli: una sorta di giudizio universale in minore, dove molti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti.
I primi in graduatoria hanno il vantaggio di poter scegliere tra molte sedi disponibili e, nel vasto e ramificato sistema di comunicazioni informali che percorre il mondo della pubblica istruzione, tutti sanno benissimo quali siano le scuole appetibili, quelle accettabili e quelle da cui tenersi alla larga. Accade così che le scuole più difficili da raggiungere, più disagiate, più periferiche oppure situate in aree con problemi di carattere sociale e ambientale non siano quasi mai scelte dai docenti di ruolo e vengano successivamente coperte da supplenti annuali.
Le scuole più “complicate” si trovano così ad avere un corpo docente instabile e poco coeso, con ricadute evidenti sulla qualità del servizio offerto e sulla coerenza dell’offerta formativa. E questo la dice lunga su come il precariato endemico che caratterizza il sistema della pubblica istruzione nel nostro paese abbia poi conseguenze gravi sulle finalità che il sistema stesso dovrebbe avere.
Ecco, incominciano le chiamate: i convocati, che sono più dei posti effettivamente messi a disposizione, si tendono sulle sedie, nella speranza che qualcuno rinunci e che quindi si prosegua nella graduatoria. Spesso ci si ferma, non si sa se l’avente diritto non si sia presentato perché intende rinunciare o perché non ha ricevuto la convocazione. Bisogna rintracciarlo e i tempi si allungano, mentre l’atmosfera si addensa di speranza, di tensione, di un essere insieme che è anche solitudine e isolamento.
A pomeriggio inoltrato le nomine sono terminate e il salone si è svuotato: resta l’interrogativo di quanto peserà nella vita delle persone che hanno condiviso l’attesa, la loro esperienza fatta di precariato e di continui cambi di sede, l’impossibilità di costruire un rapporto stabile con i colleghi e gli allievi, il succedersi di speranze e delusioni affidate al caso. Quale entusiasmo, quale creatività, quale voglia di fare e di sperimentare gli saranno rimasti?
(Paola Repetto)