La morte di Tempo – Una vita per la musica chiusa senza una nota

Risuonavano solo le note degli angeli, ha riferito con tocco lieve Silvana Zanovello, sul Secolo XIX, nella sua puntuale cronaca dei funerali di Claudio Tempo. La musica, quella espressa dal suono di un violino, di un pianoforte o di una voce, non c’era proprio; allo stesso modo mancava, grande assente, la musica come istituzione, ente preposto non solo all’allestimento di opere e concerti, ma anche e forse soprattutto a tenere vivi i valori di questo mondo culturale. Il mesto silenzio che regnava nell’antica chiesa di San Siro, la vigilia di ferragosto, per l’addio al più famoso e impegnato critico musicale che Genova abbia avuto negli ultimi trent’anni, esprimeva il grado di partecipazione, o di indifferenza, esistente da queste parti verso la migliore “intellighenzia”.


“Ostico, severo, competente ed esigente” ha definito Tempo, in uno schietto necrologio, chi lo conosceva bene come Sergio Buonadonna, già capo dei servizi culturali dello stesso giornale, aggiungendo che “gli ignoranti e gli orecchianti di musica” ora potranno esultare. Di più e di peggio c’è il vuoto, l’assenza di battiti di una città e di chi la esprime verso ciò che non risponde a logiche lobbistiche. Lui ne fu sempre estraneo. Fin da quando, tempi lontani, insieme a Eco fu tra i fondatori a Genova del Marcatré, rivista di rottura dello status quo culturale; e sempre in anticipo sui tempi “impose” alla conoscenza maestri ancora sconosciuti o quasi, quali Oren o Sciarrino. E come ignorare che alcuni riconoscimenti nazionali vennero al teatro dell’opera proprio grazie alla severa penna di Tempo, la sola considerata fuori dalle mura comunali?
In realtà, direttori e sovrintendenti di turno sapevano di non potersi “fidare” fino in fondo, perché la sua severità non faceva sconti a nessuno. Era questo il suo peccato imperdonabile: la mancanza di compiacenza. In musica come in politica. Non sembra un caso, insomma, il distacco ufficiale di fronte alla sua scomparsa: neanche una nota a chiusura di una vita per la musica; e neanche una parola in ricordo, alla recente ripresa della stagione sinfonica; direttore lo stesso Oren.
(Camillo Arcuri)