Precariato – La guerra fra poveri e la partita IVA

Una volta nelle aziende c’erano i dipendenti e i collaboratori esterni. Con contratti a tempo determinato o indeterminato i primi, con Partita Iva, tailleur o giacca e cravatta i secondi. Erano chiamati per consulenze specifiche su un settore, per esigenze momentanee dell’azienda, come docenti per corsi di aggiornamento e formazione, per l’accompagnamento all’ottenimento di certificazioni ed altro ancora.


Con l’epoca dei cococò e dei lavoratori a progetto le cose sono cambiate anche per questi ultimi, che spesso hanno dovuto togliere giacca e tailleur per indossare abiti più comodi e meno costosi e intraprendere una lotta con i rappresentanti delle nuove categorie.

Circa cinque anni fa vennero incentivate nuove forme di partita Iva, con gestione agevolata e oneri ridotti, definite in gergo “Alternativa alla disoccupazione”. Non trovi lavoro? Diventa imprenditore di te stesso, prendi in mano il tuo futuro, apriti una partita Iva e cercati i tuoi clienti: manco a dirlo molti di coloro che colsero questo invito regolarizzarono in tale modo situazioni di collaborazioni occasionali preesistenti e durature. Capita che si richieda di aprire una Partita Iva per svolgere attività di marketing e telemarketing, fare le hostess ai congressi o occuparsi di traduzioni, nuovamente nascondendo forme di dipendenza occasionale o prolungata e garantendo all’azienda la possibilità di sciogliere il contratto in ogni momento. Partite Iva che rappresentano ormai una nuova faccia del precariato moderno. E quando si fallisce, pur avendo pagato Inps e contributi, nemmeno spetta l’indennità di disoccupazione. Però pagano le tasse e nelle statistiche risultano stabilmente occupati.

Ora: una prestazione occasionale è soggetta a una ritenuta d’acconto, trattenuta dal datore di lavoro, del 20%. Per un compenso di quindici euro ne verranno trattenuti tre.Il lavoratore ne intascherà dodici. Se la prestazione diventa continuativa, il lavoratore è tenuto ad aprirsi una posizione Inps e a versare i regolari contributi. Sui quindici euro pattuiti inizialmente il lavoratore incasserà 10,86 euro netti. Il lavoratore con partita Iva per quei quindici euro ne pagherà il 20% di Irpef, o il 10% se in regime agevolato, 23% di INPS di cui il 19% dalle sue tasche, e il 4% eventualmente potrà caricarlo sul datore di lavoro (se disponibile…). Ai quindici euro in fattura dovrà conteggiare il 20% di IVA in più.

Di quei quindici euro iniziali quindi il libero professionista intascherà nove euro e quindici centesimi netti, e costringerà il datore di lavoro a pagarne 18 (a meno che questi non richieda al consulente di “abbassare” il costo orario in modo da far rientrare anche l’iva nei quindici pattuiti inizialmente).

Secondo voi, a chi costa meno affidare le ore di un corso di formazione?
(Maria Cecilia Averame)