Stage – Se si perde l’ultimo autobus

Quant’è durato il colloquio col tipo – l’ometto della volta scorsa, vi ricordate? -, che ho di fronte? Non lo ricordo. Ancora una volta mi sono distratto. Sulla scrivania aveva di quei panciuti, enormi barattoli di plastica pieni di pasticconi che vengono spacciati nelle palestre alla moda (il ventre scolpito a mo’di guscio di tartaruga del signore ritratto nell’immagine della confezione garantisce sostanziose percentuali di creatina e altre sostanze limitrofe). Ricordo anche un gran viavai di gente, un campionario umano: i Candidati. All’ometto toccava, oltre al colloquio (una specie), l’inserimento delle loro generalità – secondo un modulo scritto – nel database dell’azienda. Quest’ultima operazione (inserimento dati e “attribuzione”del Candidato alla filiale) va a buon fine solo se la percentuale di dati inseriti risulta soddisfacente. Se riempire alcuni campi risulta impossibile (le informazioni che richiedono sono ossessivamente specifiche e anch e a domandarle al candidato si finirebbe col passare per serial killer!), si bara. Tipo che si inseriscono alcune lettere a casaccio nella casella. Istituto presso il quale il candidato ha conseguito la licenza media: jgdcvu. Indirizzo di posta elettronica: hqwvehvb. E cose simili. Questa è sicuramente stata la parte più creativa del mio incontro con l’ometto e con l’azienda.


L’azienda. La giornata lavorativa dura otto ore. Quaranta minuti per arrivare in ufficio e altrettanti per tornare. Dalle 13 alle 14 l’ora d’aria. Cinque giorni a settimana; considerato inoltre che almeno sei o sette ore a notte dormo, quanto tempo rimane? Non più di cinque o sei, ed il fine settimana. -“Bella scoperta – hanno commentato i miei. Cosa credevi? Di fare un paio d’ore e via?”. Non so precisamente cosa pensavo ma è come se mi fossi svegliato di colpo. Mi rendo conto che, entrambi, per quasi una quarantina d’anni sono stati risucchiati dai rispettivi uffici per giornate intere, un’ora dopo l’altra, un minuto dopo l’altro. Ho pensato a quest’enorme quantità di tempo sottratto alla loro vita e m’ha preso lo smarrimento che si prova quando si perde l’ultimo autobus notturno e tocca aspettare quello del mattino. A quel punto si ha l’irrazionale sensazione che si resterà per sempre sospesi, fermi al capolinea tra la fine della notte e il mattino.
Primi giorni; o settimane? Non lo so. Forse ho già perso il conto. Letture poche; film solo alla sera ma sono cotto e quasi sempre mi addormento a metà; sport e volontariato manco a parlarne. Fuori dall’ufficio penso all’ufficio e ne straparlo oppure dormo. Autostima ai minimi storici: mi sento una mezza sega a non reggere ritmi normali per la maggior parte della gente. E poi inadeguato: devo imparare una quantità pazzesca di nuove procedure, di trascrizioni e di controlli e la mia distrazione cronica fa si che la direttrice della filiale mi consideri un demente. Aggravante: in questo primo mese di stage ha piovuto un solo giorno; sempre il sole. Lo so di certo anche se “dentro” le tendine sono sempre tirate: solo lampade al neon, irreali, indifferenti.
(The Pupil)