Militari – Se l’uranio uccide la Difesa insabbia

L’uranio impoverito contenuto nei proiettili Nato continua a fare vittime anche dalla “parte amica”: sono ricorrenti le notizie di giovani militari italiani morti precocemente dopo un contatto prolungato con tali ordigni. Come finiscono queste vicende? Spesso, alla tragica conclusione si aggiungono le beffe di un apparato burocratico-militare che si appella perfino a leggi inesistenti pur di negare un indennizzo.


L’ultimo caso riguarda gli avieri Gianni Fredda e Maurizio Serra, deceduti rispettivamente nel 2002 e nel 2004, all’età di 26 anni, a causa di un tumore al cervello, dopo essere stati impiegati senza alcuna protezione nel poligono di tiro di Capo Frasca, in Sardegna, dove i due militari raccoglievano a mani nude i detriti causati dalle esplosioni di proiettili in dotazione soprattutto alle forze armate americane. Il seguito della storia è stato tale, per cui ora Falco Accame, ex presidente della commissione Difesa della Camera e presidente dell’Ana-vafaf, associazione che tutela i familiari delle vittime appartenenti alle forze armate, invita il ministro Parisi a chiedere scusa ai genitori dei due avieri.
Le ragioni sono molteplici: 1) il ministero Difesa ha negato ai due militari la speciale elargizione prevista dalla legge 308/81, rispondendo dopo 11 mesi, e non entro 90 giorni, limite stabilito dalla legge 241/91 sulla trasparenza amministrativa; 2) lo stesso ministero sostiene che le due vittime non avevano diritto all’indennizzo in riferimento al Dpr n.243 del 7 luglio 2006, mentre il legale delle vittime aveva presentato l’istanza il 15 febbraio 2006; “quindi la Difesa ha negato la speciale elargizione sulla base di una legge all’epoca inesistente.”
“Si tratta – osserva Accame – di un gravissimo episodio che la dice lunga sui livelli di sciatteria riguardanti il disbrigo di queste istanze e sul grado di considerazione nei confronti dei nostri ragazzi, storie che ricordano tanto i nostri soldati inviati a combattere in Russia, nella seconda guerra mondiale, con le scarpe di cartone. Bisogna far capire che il cinismo di questi atteggiamenti non può essere più tollerato in un paese civile.”
(Camillo Arcuri)