Dopo università – Quando il lavoro è gratuito

Uno cerca di pensare positivo: ok, all’università per venire preparati in maniera approssimativa si doveva anche pagare una retta; adesso quantomeno vengo preparato gratis. Consolatorio solo se si è disposti a credere a storielle tipo quella del Topolino del dentino o dell’interessamento della classe politica al destino lavorativo della mia generazione.


Stage: ecco una espressione tra quelle parole che negli ultimi anni hanno fatto tendenza. Come altre: una conversazione durante il brunch non può ignorare la new economy, il welfare o le holding; diversamente apparirebbe indegna di attenzione. Stage deriva da una voce dell’antico francese (estage, cioè “soggiorno”), parola che a sua volta proviene dal latino. Cosa spinge un neolaureato ventiquattrenne ad imbarcarsi in uno stage?
Parto dal principio: la mia è stata una candidatura spontanea; ho telefonato e fissato un colloquio. Economia: la posizione avrebbe dovuto prevede quelle che vengono definite “facilitazioni”, ossia un rimborso spese e l’erogazione dei cosiddetti ticket restaurant. Di fatto restituzione delle spese è pressoché nulla e i buoni pasto ammontano alla sontuosa cifra di 4,13 euro al giorno. Pertanto nei prossimi tre mesi non solo non avrò uno stipendio, ma dovrò intaccare i risparmi accumulati a fatica attraverso mille lavoretti di ogni tipo durante gli anni universitari.
Pensieri: non sono mai stato un introspettivo; ogni mia passata, presente (e temo anche futura) fidanzata si è sistematicamente sentita in dovere di farmi notare che il mio dialogo interiore è simile alla conversazione tra un paio di vecchine sorde in sala d’attesa dello studio del medico della mutua. Sarà anche così ma dopo una settimana dall’inizio dei tre mesi di stage le riflessioni che si sono accumulate sono parecchie.
Prima riflessione. Sino a un po’ di anni fa a lavorare si cominciava così: nel momento in cui si decideva di assumere qualcuno, gli venivano forniti gli strumenti per svolgere la mansione assegnata. Dopo un po’ di pratica il neoassunto acquisiva una certa dimestichezza col proprio mestiere ed era pertanto in grado di risolvere una serie di problemi dell’azienda e potenzialmente di fornire servizi analoghi ad una quantità variabile di altre imprese simili a quella che l’aveva assunto. La sua capacità di risolvere un insieme di problemi si chiamava “esperienza”; che era come un investimento, quello che l’azienda ti dava in cambio di un certo rendimento del lavoratore. Rendimento tale da ripagare la formazione ricevuta e lo stipendio erogatogli.
E adesso? Adesso no, non è più così. Anche durante la fase della formazione, io, la potenziale futura fonte di rendimento dell’azienda, sono diventato una fonte di profitto.
Traduzione: io impresa ti do gli strumenti per lavorare per me e produrmi degli utili, tu, in cambio, lavori gratuitamente per me. E questo è solo l’inizio.
(The Pupil)