Amministrative – Candidati con sindrome da cuore solitario
Sono tutti un po’ soli questi candidati genovesi. E anche se non lo sono, così piace loro raccontarsi, siano uomini o donne, in corsa per una poltrona in circoscrizione, in giunta comunale o in provincia. “Davvero sai, non ho più l’appoggio che speravo…Contavo su un certo numero di voti, ma adesso da quel che ho capito, sarà dura!”; oppure: “la sezione mi ha mollato! Fino a poco tempo fa era tutto a posto, ora mi sento davvero alla mercé del caso …”; e ancora: “Non c’è certezza! Poi per le donne è più dura…Non immagini gli attacchi!”.
Anche lo slogan “genere e generazioni” – tanto amato sino all’anno scorso – pare aver fatto breccia nel cuore dei partiti solo sulla carta, per salvare quel minimo di elemento anagrafico e quote rosa dettate dal decoro della scheda più che da una scelta di sostanza. “Non hai idea della gente che hanno tirato in ballo… Persone che non hanno mai fatto politica… Anche amici carissimi, ai quali voglio un gran bene, ma incapaci di amministrare una città!”.
Intanto le agende con spuntini, aperitivi, cene si affollano. Difficile venirne a capo. E i candidati appaiono più soli, perché è l’investimento in fiducia a franare verso il basso. Sezioni, partiti, segretari in chi credono davvero? E i cittadini in chi devono credere?
Nell’affollatissima campagna politica di cuori solitari accade che si possa toccare con mano l’isolamento della candidata a sindaco e percepirne forza e determinazione. Il Teatro Modena, venerdì 18 maggio prometteva grandi folle: serata gratuita, Neri Marcorè e Vincenzi sul palco. Occasione perfetta per gli amanti della satira. Ma no, il teatro non si riempie e i ritardatari trovano posto in una platea puntellata dai vuoti. Qualcosa non torna. Nonostante le letture di Giorgio Scaramuzzino e l’incipit musicale di Marcorè che si affida a Gaber con la canzone “Le elezioni” nella quale il cittadino, toccato dall’alto momento democratico, finisce per fregarsi la matita dal seggio. La platea ride a denti stretti e nemmeno “Una vita da Prodiano” – parodia del testo di Ligabue – sembra farla sciogliere.
Marcorè, bravissimo, si spegne, alla fine va via senza nemmeno un saluto. Marta Vincenzi – intervistata da Raffaele Niri – ha ancora energie per raccontarsi. Ci sono i quartieri, c’è – prima di scelte calate dall’alto – la necessità di ascolto della gente che ci vive. C’è il sogno di una città digitale, la sicurezza, la mappatura di spazi di aggregazione per i giovani, che lei vede a De Ferrari, seduti “sprecando potenzialità”. Vuole architetti giovani che parlino con gli imprenditori, vuole una città partecipata.
Quando Niri le chiede come mai, vista la certezza del risultato, lei continui ad andare quartiere per quartiere, lei risponde: “Io non voglio solo vincere, voglio governare”. Governare. Infatti. Di questo si tratta.
(Giulia Parodi)