Immigrati – Diversa la criminalità se comasca o romena

Ciclicamente, in parte dell’opinione pubblica, la responsabilità di alcuni atti criminali passa la soglia dell’attribuzione individuale e si trasforma in colpa collettiva. In questi giorni tocca ai rumeni, nazionalità che il recentissimo ingresso nell’Unione Europea non ha ancora purificato dalle stimmate del sottosviluppo e dell’estraneità. La stampa, nel frattempo, ammaestrata da famosi infortuni (esempi notissimi le prime attribuzioni giornalistiche dei delitti di Novi e di Erba) riflette su se stessa e sul suo modo di proporre le notizie. Sul Foglio del 3 maggio un articolo osserva che “Basta l’indicazione geografica (la rumena, le rumene) e, da violenza metropolitana, il delitto diventa subito faccenda etnica, emergenza razziale”. Libero, sul suo blog, pubblica in evidenza un intervento che osserva: “Finalmente non uno ma due fatti di cronaca in cui si possano accusare gli stranieri! … Certo, è un peccato che la Romania sia entrata in Europa a gennaio, se questo assassinio brutale si fosse verificato entro il 31 dicembre gli italiani xenofobi sarebbero stati più contenti …?


La rilevanza informativa dell’appartenenza dell’autore di un crimine ad un gruppo, a una fascia sociale, o a una nazionalità in realtà è una questione complessa e ben distinta dalla compulsione liberatoria di buttare immediatamente delitti ed efferatezze sulle spalle del barbaro straniero di turno, o, nel caso che ciò effettivamente sia, dal trarne pretesto per atti di discriminazione.
Quando l’articolo del Foglio osserva che “della strage di Erba non si è mai detto i massacratori comaschi” e che la ferocia del delitto “è semplicemente umana, tratto comune della specie”, rifiuta – astoricamente, e quindi senza speranza – di attribuire qualsiasi rilievo al contesto in cui ciascun individuo è immerso. Quando l’appartenenza del singolo ad una nazionalità, ad un gruppo sociale, o ad un sesso condiziona il suo rapporto con il circostante ambiente culturale e sociale, quando lo rende particolarmente fragile ed esposto, oppure al contrario, quando gli offre un privilegio di impunità (ripensiamo, ad esempio, al delitto d’onore), questa appartenenza non è più un fatto neutro. Forse il modo “politicamente corretto” di trattare questo genere di dati sta nel tenerne conto – nel giusto modo – quando ciò serve a comprendere la realtà, e non nella omissione sempre e comunque di qualsiasi riferimento alle “appartenenze” delle persone coinvolte in episodi criminali, fa cendo finta che essere comaschi in provincia di Como sia la stessa cosa che essere oggi una giovane prostituta rumena in Italia.
(Paola Pierantoni)