Kabul e dintorni – Se arrivano i mercenari al posto dell’esercito

Nelle scorse settimane, con la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e l’uccisione del suo interprete, lo scenario dell’Afghanistan è tornato prepotentemente all’attenzione della stampa italiana. Gli articoli realmente illuminanti sull’argomento sono stati però ben pochi: tra essi si può annoverare senza dubbio l’analisi del generale Fabio Mini, già comandante della missione Kfor in Kosovo, dal titolo “Cattivi maestri a Kabul”, apparsa su L’Espresso del 5 aprile.


In questo momento il processo di democratizzazione in Afghanistan è fermo, a causa dei numerosi errori compiuti sia dalle forze militari straniere che dal governo del presidente Karzai. Nel paese asiatico sono presenti due forze internazionali ben distinte: l’Isaf (International Security Assistance Force) e la Coalizione internazionale a guida americana. La prima, coordinata dalla Nato, ha il compito di stabilizzare e ricostruire e la sua presenza è legittimata da risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU; le sue regole d’ingaggio sono molto restrittive. All’Isaf appartiene il contingente italiano, composto da quasi duemila uomini, di stanza principalmente a Kabul ed Herat. La Coalizione internazionale, che opera nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom, ha invece lo scopo di sconfiggere le sacche di resistenza dei talebani e sradicare la rete di Al-Qaida, catturandone i principali leader. Essa agisce principalmente a Sud e a Sud-Est, nella zona vicina al confin e con il Pakistan.
Ma qual è la possibile evoluzione dello scenario strategico afghano? Il citato articolo di Fabio Mini la delinea con estrema chiarezza: da una parte si va verso una progressiva “privatizzazione” della guerra, sul modello iracheno, dall’altra i metodi di resistenza e guerriglia si fanno ancora più brutali e spietati, con una contaminazione reciproca tra terroristi iracheni e combattenti afghani. “Privatizzazione” della guerra significa affidamento di sempre maggiori responsabilità a compagnie militari private, soprattutto per quanto concerne l’addestramento di polizia ed esercito locali. Questo fenomeno ha avuto in Iraq effetti nefasti: le forze regolari si sono, infatti, trasformate in squadroni della morte, che hanno compiuto stragi di inermi e fatto saltare in aria abitazioni e infrastrutture. Già nel 2004 il Financial Times aveva evidenziato questa degenerazione, mentre in seguito si era addirittura parlato di “Opzione Salvador” per l’Iraq, anche per il coinvolg imento in queste vicende di John Negroponte e James Steele, già autori delle scelte strategiche degli Usa in Salvador negli anni ’80. Dall’altra parte, le tecniche di guerra dei talebani stanno divenendo sempre più complesse e crudeli, con l’importazione a Kabul del metodo degli attacchi suicidi. In Afghanistan si è vista di recente applicata anche la tattica dello “sciame”, basata su una rapida concentrazione e dispersione di uomini su obiettivi prestabiliti.
A questo punto non sembrano infondate le preoccupazioni per la sorte del contingente italiano, espresse anche dal ministro della Difesa Arturo Parisi, in seguito all’offensiva sferrata dalla Coalizione nella provincia di Herat, offensiva in cui i nostri militari peraltro non sono direttamente coinvolti. La situazione è grave, la convocazione di una conferenza internazionale di pace, promossa dal governo italiano, non solo è auspicable, ma si rivela ogni giorno più necessaria ed urgente.
(Bruno Filograna)