Immigrati – Un progetto contro il marciapiede
A Genova dal 2000 opera il progetto “Sunrise” il cui scopo è quello di “aiutare le persone vittime del traffico a scopo di sfruttamento sessuale”. Il progetto è finanziato dal ministero delle Pari Opportunità e dalla Regione, e attuato dal Comune di Genova attraverso una rete di soggetti: case di accoglienza, cooperative sociali, mediatori culturali, servizi pubblici per la tutela della salute e per l’inserimento lavorativo, sportelli per gli immigrati, centri di formazione professionale, centri scolastici territoriali. L’obiettivo è quello di fornire alle ragazze e alle donne coinvolte nel racket della prostituzione, ascolto, alloggio, sostegno psicologico, e opportunità di formazione e di inserimento lavorativo. Per le straniere aderire a questo percorso vuol dire anche riuscire a ottenere il permesso di soggiorno.
Nel 2006 le donne inserite in questo intervento di protezione sociale sono state 183. Di queste, sessanta (il 32,7%) erano di nazionalità rumena. Inoltre: erano rumene tutte le quarantatre minorenni, tranne una.
Le donne rumene a Genova sono comparse sulla scena della prostituzione nel 2003. Le violenze a cui sono sottoposte dagli sfruttatori sono particolarmente brutali. I clienti italiani, da parte loro, “non si pongono il problema”, e sono pronti ad utilizzare il frutto di questo processo di riduzione in schiavitù senza farsi domande, senza assumersi responsabilità, ed aggravando spesso la situazione con la richiesta di rapporti sessuali non protetti.
Nella maggioranza dei casi (il 56% nel 2006) le donne vengono in contatto con gli operatori sociali sulla base di segnalazioni delle forze dell’ordine; per il resto ci arrivano per iniziativa autonoma o a seguito di un precedente contatto con il “numero verde nazionale”, soprattutto dopo aver subito qualche fatto particolarmente “pesante”. Clienti, amici, colleghe non hanno nessun ruolo nel favorire questi percorsi di uscita.
Risultati raggiunti: 73 persone hanno oggi una loro casa e altrettante seguono corsi di formazione scolastica o professionale, 121 hanno conquistato il permesso di soggiorno, dodici hanno usufruito di borse-lavoro. Ma l’operatrice elenca anche le molte cose che sarebbero necessarie e che mancano. Innanzitutto, un orizzonte di stabilità: ogni anno i soldi per tirare avanti devono essere trovati nelle pieghe di fondi nazionali in perenne restringimento. Poi ci vorrebbero strutture di accoglienza diverse, adeguate a questo tipo di utenza: non solo luoghi di prima accoglienza, ma strutture con operatori capaci di stabilire una relazione e in possesso di professionalità specifiche, luoghi in cui poter incontrare donne che stanno seguendo lo stesso percorso con cui riconoscersi e dove dovrebbe essere obbligatoria la figura dello psicologo: attualmente invece per tutte le 160 donne seguite e per i loro 26 figli è possibile disporne solo per 18 ore settimanali complessive. Inoltr e servirebbero regole ben precise: ad esempio l’immediato sequestro dei telefonini che sono la prima arma utilizzata dagli sfruttatori per tenere sotto controllo le loro vittime.
Infine, dice l’operatrice, sarebbero necessarie iniziative di provocazione culturale. A volte le è capitato di incrociare i clienti: cercano la schiava, la donna di altri tempi. Il nodo è sempre lì, e non riguarda solo gli immigrati.
(Paola Pierantoni)