Fuori del coro – Troppi piani misteriosi dietro il grande affresco
Nel 1991, la rivista GB Progetti, diretta da Barbara Nerozzi, dedicò il numero di aprile alle realizzazioni previste per le Colombiane dell’anno successivo. In tale rivista furono pubblicati tutti i progetti previsti per il porto antico, introdotti da due articoli di Edoardo Benvenuto, allora preside della Facoltà di Architettura di Genova e di Scapuzzini Ceccarelli, urbanista, centrati, ambedue, pur con diversi punti di vista, sul rischio della perdita di identità delle città portuali storiche. L’interesse della pubblicazione è che i progetti sono esposti senza ulteriori considerazioni critiche, ma con il criterio di presentare “tutto quello che è stato pensato”. Compaiono così progetti in corso di realizzazione, da finanziare e semplici proposte architettoniche, tutti eseguiti, però, con incarichi formalizzati, pubblici e privati.
Due cose colpiscono nella lettura degli articoli e delle schede, fatta salva la valutazione della bontà dei singoli progetti.
Uno è l’elenco di oggetti, manufatti, edifici storici del porto che, alla fine degli anni ottanta, erano ancora esistenti. L’altra era la prevalente destinazione pubblica di tutta l’area del porto antico dismessa. Oggi, a più di dieci anni di distanza, vale forse la pena di verificare cosa è stato realizzato e come e cosa c’è ancora da fare. Questo, soprattutto, per quanto riguarda le aree ancora da sistemare e non per quanto era previsto ed è oggi perfettamente funzionante, ormai, con l’Acquario che “tira” più di ogni altra cosa, nonostante alcune questioni non proprio esaltanti (per esempio: l’uso di Porta Siberia, la mancanza di trasporti pubblici all’interno dell’area recuperata, l’intervento sul Cembalo).
E’ significativo, o triste, che tra i tanti progetti presentati su GB Progetti, non ci fosse, a parte un uso genericamente culturale, “polivalente”, del Galata (progetto Semino-Bartolozzi), un museo marittimo. Fino a che imprenditori privati e il direttore del Museo di Pegli, Campodonico, non ebbero allestito il Padiglione del Mare e della Navigazione (primo nucleo del nuovo Museo del Mare, oggi, finalmente, aperto), credo che quello di Genova fosse l’unico porto antico recuperato dove non fossero ormeggiati mezzi navali storici, ma solo due navi “finte”, la nave Italia e il disneyano Galeone.
Quello che non è chiaro è cosa succederà nell’area fra la Darsena e Ponte dei Mille, diventata proprietà comunale e dell’area di Calata Gadda.
Dell’una si sa che sarà realizzato (?) un altro “oggetto architettonico” a Ponte Parodi, senza che sia chiaro il destino del silos (l’Hennebique”). Dell’altra, fra l’affresco di Piano e lo sbocco del tunnel sottomarino (?), non si capisce cosa succederà delle Riparazioni Navali. Ambedue le aree, così come Via dei Pescatori, sono terra di confine fra la pianificazione comunale della città e la pianificazione portuale, diventati “non luoghi”, terra di tutti e di nessuno, dove l’unica cosa certa è che quello che ancora rimane dell’elenco dei manufatti storici (edifici, mezzi operativi, gru, attrezzature, ecc.), censiti alla fine degli anni ottanta, rischia di sparire fra l’indifferenza generale e le difficoltà della tutela istituzionale. “Non luoghi” dove, tra “eventi” istituzionali (“la prima pietra” dei Magazzini del Design”) e lavori in corso (la nuova sede dell’Istituto Nautico ai Magazzini della Darsena?), forse compariranno nuovi edifici (per abitazioni extralusso?) o si trasformeranno dei vecchi (saranno ancora riconoscibili?), senza che si riesca a vedere un disegno che li tenga assieme.
Come diceva una vecchia canzone dei Gufi, “mi piacerebbe tanto di sapere”, se c’è malizia in questa mancanza di pianificazione, così che possono diventare realtà interventi come quello del Cembalo, o è solo mancanza di visione generale su cosa vogliamo, o vogliono, fare del porto dismesso o da disattivare.
Girando fra calate e vecchi moli, mentre prendo nota di una gru antica o delle tracce della ferrovia del porto -c’è ancora abbastanza materiale da proporlo come percorso museale all’aperto, da affiancare al Museo del Mare-, mi chiedo se riusciremo mai a trovare un equilibrio fra le questioni contingenti del porto, la qualità urbana e la visione alta dell’affresco di Piano.
Con un’altra battuta: un Piano è necessario, non solo Renzo.
(Gu.R.)