Pubblicità – Dopo lo stupro il malore che fa venir da ridere

Sono mesi e mesi che mi guarda, a giorni alterni, dal paginone di un giornale, con espressione muta ma loquace, carica di interna sofferenza: quasi un invito a intervenire, far qualcosa per lei, non so, porgerle una mano, un sostegno, forse chiamarle un medico che più di noi inetti sappia aiutarla, somministrandole un calmante, facendole un’iniezione. Non si può restare indifferenti ancora a lungo, di fronte all’immagine dolorante della brunona che, con un messaggio non si sa quanto funzionale allo scopo, reclamizza le pellicce in vendita presso una ditta di Andora. Più ancora che la siluette della ragazzona e la linea del morbido “capo” che indossa, colpisce la sua posizione corporale: piegata su un fianco, il viso una smorfia, gli occhi socchiusi, le mani premute contro l’addome, come per comprimere il dolore di un’improvvisa colica, chissà, che l’ha colpita a tradimento, si direbbe, se la posa non fosse a lungo studiata e preparata.


Dal momento che di finzione si tratta, a noi sempliciotti viene da domandarsi quale possa essere il senso di una simile messa in scena. Se è quello scontato di colpire comunque l’attenzione, tutto fa brodo. Anche la gallina vecchia di Oliviero Toscani. Sua fu la prima idea delle campagne fotografiche di per sé provocatorie, usate come pretesto per lanciare la linea Benetton (sodalizio infine spezzato di fronte al cinismo, forse eccessivo, di usare i volti dei morituri del braccio della morte per vendere pullover e rebecche). Sembra appartenere alla stessa scuola, lo stupro di strada prodotto dai creativi di Dolce e Gabbana, che tanto reazioni negative ha suscitato da provocare il ritiro della pubblicità incriminata. E scendendo giù, sempre più giù, per li rami si arriva fino al malore più casereccio interpretato dalla modella in pelliccia, immagine di fronte alla quale si fa qualche ironia per non dire che viene solo da ridere. (Camillo Arcuri)