Minori stranieri – Progetto condiviso, ma dalla banda

Parlando con gli operatori che si occupando dei “minori immigrati non accompagnati” si incontra subito il grande problema della sparizione dei ragazzi. Quando un minore viene segnalato – magari ha commesso un piccolo reato, magari era palesemente in un giro di sfruttamento – dopo l’identificazione della polizia viene affidato al Servizio Sociale del Comune che, come primo intervento, lo conduce in una “comunità di accoglienza residenziale” dove dovrebbe attendere l’incontro con gli operatori sociali che dovranno definire per lui un “progetto educativo”.


Succede però è che la gran parte di questi ragazzi e di queste ragazze scompaiano immediatamente. Per quelli che sono in un giro di sfruttamento (accattonaggio, prostituzione, spaccio) arrivano prontamente richiami all’ordine sui loro cellulari. Oppure l’imperativo di andarsene il prima possibile è già dentro di loro, consolidato dalla paura, dall’assuefazione, dall’estrema difficoltà a figurarsi un’alternativa credibile e migliore, dalla diffidenza per tutto ciò che ha un aspetto istituzionale.
A volte vengono a prelevarli degli adulti che si qualificano come parenti: padri, zii. I ragazzi confermano. Ma nessuno della struttura di accoglienza è titolato a fare verifiche e, soprattutto, nessuno è titolato ad impedire che il minore se ne vada, da solo o con altri. Qui veniamo al punto spinoso.
A Firenze e Torino ci sono strutture chiuse, con i vigili alla porta, dove vengono inviati i ragazzi che – si valuta – hanno bisogno di un una barriera tra loro e il giro che li sfrutta, di un contenimento che imponga loro uno stacco rispetto alla vita che conducono, di un’autorità diversa da quella che altri stanno comunque esercitando su di loro.
Ma, dicono gli operatori, questa, qui a Genova, “è una soluzione improponibile”. Pare vi sia stato in proposito un acceso dibattito che si è concluso con il “rifiuto assoluto” della comunità coercitiva. Qui la strategia delle cooperative sociali che gestiscono le strutture – peraltro condivisa dall’Amministrazione comunale – è che debba esserci comunque la “condivisione del progetto educativo”. Cosa molto bella, molto politicamente corretta, ma anche soluzione comoda che trascura il fatto che il progetto educativo condiviso finisce per essere in molti casi quello degli spacciatori e delle bande criminali.
I dati dell’ANCI ci dicono che a Genova chi si trattiene nelle strutture per almeno un mese è meno del 30% di chi ci viene inviato. Alcuni di questi ragazzi effettivamente riescono a tornare in famiglia, ma la gran parte rientra immediatamente nei binari della marginalità, dello sfruttamento, della criminalità.
(Paola Pierantoni)