Espropriato il Csm: giudici piu’ ossequienti

Le parti del progetto concernenti il CSM sono sicuramente quelle che maggiormente evidenziano come per l’attuale Governo la Magistratura non sia un potere dello Stato indipendente ed autonomo che necessiti soprattutto di urgenti riforme per dare efficienza e tempestività ai suoi atti, ma un nemico da delegittimare con ogni mezzo e da abbattere, cominciando proprio dall’organismo che per Costituzione deve assicurarle quell’indipendenza ed autonomia, il Consiglio superiore della magistratura. Come nemica è la magistratura, così, per la destra, nemica è la Costituzione repubblicana, democratica ed antifascista del 1948 che quindi si cerca in tanti modi di smantellare o per lo meno di erodere profondamente, riportando il sistema istituzionale ed i rapporti tra i poteri ad un modello pre-repubblicano di organizzazione monistica dello Stato, incentrata sul potere esecutivo.


Non è inutile ricordare che la Magistratura italiana fino al 1958, anno in cui fu istituito il primo CSM in attuazione dei nuovi principi costituzionali, era stata sempre governata dall’Alta magistratura (Cassazione) in piena sinergia e consonanza (culturale e ideologica) con il Ministro di grazia e giustizia (esecutivo) cui dipendevano, ad onta della formale indipendenza assicurata dalla Costituzione, l’accesso, la carriera, le promozioni ed i trasferimenti, le nomine e la disciplina di ogni magistrato.
Nel disegno costituzionale e nella sua concreta attuazione realizzatasi nell’ultimo mezzo secolo, viceversa, pressoché ogni aspetto della vita professionale del magistrato è stato affidato ad un nuovo organismo, eletto per due terzi dei suoi componenti dai magistrati e per un terzo dal Parlamento, che ne assicura il governo autonomo rispetto al tradizionale inserimento nel continuum istituzionale rappresentato dal circuito Governo/ministro/vertici degli uffici giudiziari. Ebbene, rispetto a tale modello il sistema di autogoverno che esce dal progetto governativo attualmente in discussione, nonostante i tentativi di ammorbidimento rispetto alle prime più truculente proposte, consegna al paese un organo fortemente indebolito e mortificato nelle sue più significative competenze, secondo una logica complessiva tesa a rendere ogni magistrato più solo e senza punti di riferimento e tutela collettivi, trasformando l’organo di autogoverno in un Consiglio depotenziato che di superiore mantiene ancora ben poco.
Si sottraggono al Consiglio, secondo le linee portanti del progetto, alcune delle principali competenze assegnate espressamente dalla Costituzione in materia di assegnazioni, trasferimenti e promozioni dei magistrati. L’organizzazione degli uffici giudiziari viene pressoché interamente affidata ai Consigli giudiziari (organi in gran parte elettivi presenti in ogni regione) che vengono però radicalmente trasformati rispetto all’attuale assetto, con l’immissione di componenti laici elettivi in numero maggiore rispetto ai componenti togati, con una scelta del tutto irrazionale ed eccentrica rispetto alle tradizionali proposte dell’associazione nazionale magistrati e delle forze politiche più responsabili e rispetto al modello costituzionale del CSM (dove la prevalenza della componente togata assicura indipendenza ed autonomia all’ordine giudiziario ma non implica affatto separatezza rispetto alla società civile e politica del paese).
La direzione effettiva e finale degli uffici giudiziari viene sottratta agli attuali dirigenti-magistrati per essere attribuita a dirigenti amministrativi, e dunque all’esecutivo: si prevede per esempio che in caso di conflitto la soluzione spetti al Ministro. La formazione professionale dei magistrati, presupposto essenziale di un esercizio indipendente e corretto della funzione, oggi interamente curata dal CSM, viene affidata ad una costituenda apposita Scuola esterna, al cui consiglio direttivo partecipa direttamente anche il Ministro, assumendo così attribuzioni totalmente estranee a quello che per la Costituzione rimane il suo limitatissimo ruolo di mero erogatore dei servizi e risorse e di titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati.
Il potere di trasferire d’ufficio i magistrati da un luogo ad un altro per cosiddetta incompatibilità ambientale (allorché cioè per le ragioni più disparate, anche del tutto oggettive ed incolpevoli, un magistrato non può più svolgere con prestigio e credibilità le sue funzioni in un certo ufficio), che risulta attualmente lo strumento più incisivo di governo del personale in mano al CSM (si pensi, tanto per capire, al recente e dirompente trasferimento adottato nei confronti del Procuratore capo di Napoli Cordova ), viene letteralmente soppresso e sostituito con misure cautelari non meglio precisate affidate in ogni caso al ministro, che dilata in tal modo a dismisura la sua competenza in aree in cui non necessariamente i comportamenti dei magistrati o le situazioni in cui si possano venire trovare, presentino rilevanza disciplinare. Last but not least le valutazioni professionali nel corso della carriera e le nomine agli uffici direttivi e semidirettivi, che costituiscono oggi gli atti più rilevanti nell’ordinaria amministrazione consiliare, vengono interamente affidate a nuove strutture di valutazione separate (commissioni di concorso con la presenza preponderante di magistrati di cassazione), con l’effetto principale di espropriare il CSM di una fondamentale attribuzione assegnatagli dalla Costituzione.
Mortificazione e ridimensionamento drastico del ruolo sono così gli obiettivi di fondo del progetto per quello che concerne il Consiglio, cui si contrappone un rafforzamento netto del ruolo e del peso istituzionale del Ministro della giustizia, totalmente al di fuori dell’orizzonte angusto ritagliatogli dai costituenti nell’art. 110 (“spettano al Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”) e 107 Cost. (“il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare”), che non consentono certamente una dilatazione del potere disciplinare come quella prevista dal progetto né le molteplici interferenze previste in materia di formazione e valutazioni professionali, carriera e nomine, direzione degli uffici giudiziari (che per le Procure significa esercizio dell’azione penale e quindi persecuzione, più o meno prioritaria e più o meno attenta e tempestiva di certi reati anziché di altri…..).
Lo squilibrio che così si determina nel delicato equilibrio tra i poteri che il modello costituzionale incentrato sul CSM aveva inteso realizzare, appare in tutta la sua forza e drammaticità: il baricentro del governo dei magistrati si sposta da un Consiglio più debole e ridimensionato in tutti i sensi (non si dimentichi la controriforma già varata nel 2002 che ha ridotto incredibilmente il numero dei componenti elettivi da 30 a 24 per rendere l’organo, a detta dei “riformatori” più efficiente), a favore del ministro. La pseudo riforma dell’ordinamento giudiziario disvela qui la sua vera natura di vero e proprio regolamento di conti tra poteri, mai come in questa fase storica attraversati da forti tensioni e conflitti, e di strumento per ridisegnarne i rapporti di forza, consegnando al paese una magistratura meno indipendente, più ossequiosa al potere, più omogenea culturalmente e ideologicamente. Per ottenere questo risultato la strada è obbligata: aggredire con forza la scelta dei costituenti di rendere autonomo il governo della magistratura dalla politica, nel quadro di un ordinamento fondato sul pluralismo e policentrismo istituzionale; scelta da tempo in aperta rotta di collisione con l’idea, oggi sempre più montante, della necessaria supremazia della garanzia politica su quella giuridica (il principio di legalità cui ogni soggetto ed ogni potere dovrebbe essere subordinato) e della responsabilità degli eletti solo davanti agli elettori, pendant della pretesa, questa sì tutta giacobina di immunità della politica da ogni altro controllo a cominciare da quello giudiziario.
Questo l’obiettivo evidente: minore autonomia e maggiore subalternità. Ma con quali vantaggi per i magistrati? I premi e le prebende arriveranno, come sempre è stato in passato quando si barattava un poco di indipendenza con laute mance corporative e la fedeltà al potere garantiva l’irresponsabilità verso i cittadini.
Un’avvisaglia di questo percorso? La norma approvata all’ultimo minuto alla Camera il 30 giugno scorso sulla preferenza accordata ai magistrati ministeriali (cioé quelli chiamati con scelta assolutamente discrezionale del ministro a dirigere i gangli vitali del ministero ed a svolgere compiti di collaborazione diretta al Ministro) per le nomine al momento del loro rientro nei ranghi, alle funzioni di legittimità ed agli incarichi direttivi e semidirettivi. Norma che introduce, appunto, oltre ad una ulteriore ferita alle competenze del Consiglio, una di quelle mance tipiche della peggior tradizione ai propri clientes collaborazionisti , che suona come un vergognoso ed incostituzionale privilegio che con ogni probabilità scomparirà dal testo finale, se si arriverà ad una approvazione finale del mostro in gestazione. Ma norma che ha un significato ben preciso di segnale a tutta la magistratura: che ad essere meno politicizzati, meno autonomi, meno attaccati ai sindacalisti estremisti dell’ANM, ecc. ecc. ci si guadagnerà tutti, cominciando da quei fortunati che oggi occupano posizioni di fedeltà al ministero.
Claudio Viazzi (magistrato)