Una scuola per selezionare, non per formare i magistrati

Il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario istituisce la Scuola superiore della magistratura. L’ente dovrebbe avere come finalità: a) l’organizzazione del tirocinio degli uditori giudiziari; b) l’organizzazione dei corsi di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati.


Partiamo dal primo. Il disegno di legge prevede che il tirocinio sia articolato in due sessioni, una di sei mesi presso la Scuola, e una di diciotto presso gli uffici giudiziari. Tenendo conto dei giudizi espressi sull’uditore, la Scuola formula una valutazione di idoneità all’assunzione delle funzioni giudiziarie. Su questa base il CSM delibera formalmente in via finale. Se la deliberazione è negativa, l’uditore può essere ammesso ad un ulteriore periodo di tirocinio. Segue una nuova valutazione della Scuola ed un’altra deliberazione del CSM. Se anche questa è negativa, cessa il rapporto d’impiego.
In sostanza, dopo il concorso vinto, gli uditori si sottopongono ad una nuova prova: un’incerta valutazione della loro “idoneità” all’esercizio delle funzioni giudiziarie. Il nuovo sistema va contro l’art. 106 Cost., in base al quale “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”. Nel quadro della disposizione costituzionale non è possibile infatti dare così tanto rilievo ad una valutazione di tipo “attitudinale”, intrinsecamente non anonima. Altra questione. Il CSM decide sul definitivo ingresso in servizio sulla base del giudizio della Scuola. Quanto conta questa valutazione? Non sarà vincolante probabilmente, ma di certo è obbligatoria. Ebbene ciò contrasta con la competenza esclusiva del CSM, in base all’art. 105 Cost., su ogni momento del reclutamento e della carriera dei magistrati. Non vi sono dubbi infatti che nel progetto la Scuola non sia intesa come una struttura ausiliaria del CSM. E’ un ente autonomo diretto da un comitato di sette membri, di cui solo due sono nominati dal Consiglio.
Consideriamo infine le funzioni di aggiornamento professionale dei magistrati. Su questo la realtà non è il quadro desolante presentato all’opinione pubblica. Al contrario: l’idea della formazione permanente dei magistrati è stata da tempo fatta propria dal CSM, con un’offerta didattica di alto livello, con la promozione delle iniziative culturali provenienti dalla base, con la ricerca di forme di collaborazione col mondo accademico e forense. E in realtà l’aspettativa di una Scuola della magistratura è nata proprio da queste esperienze, dall’aspirazione a dare riconoscimento ad un tessuto di iniziative e di professionalità ormai consolidate all’interno del Consiglio.
Il disegno di legge va nella direzione opposta, decide di ignorare l’impegno profuso dal CSM, e istituisce un ente da questo svincolato. E non basta ancora, giacché la Scuola è pensata sul fondamento d’una deliberata confusione tra funzioni formative e funzioni selettive. L’abbiamo appena vista con la nuova configurazione del reclutamento. Ma essa è riprodotta e accentuata quando il disegno di legge ridisegna le modalità di carriera dei magistrati. Per richiamare solo un punto: i magistrati che aspirano alle funzioni semidirettive o direttive, oltre ad aver superato un concorso per titoli, devono anche aver frequentato un corso di formazione presso la Scuola con giudizio favorevole.
Realino Marra (docente Università di Genova)