Passato/2 – La pervicacia del capo non è una virtù
Cofferati, “il cinese”, che diventa il Ruini della sinistra, prima perché a Bologna vuole mandare i ragazzi a casa a una cert’ora della notte e poi perché non condivide gli onori resi a Curcio quale autore librario, è indubbiamente una forzatura, ma a suo modo efficace, come certe vignette.
All’origine delle contestazioni al sindaco di Bologna, c’è indubbiamente la nettezza con cui esprime il suo pensiero, interpretando gran parte del sentire comune che non sempre si può liquidare come populismo. Esempio: è così necessario che le discoteche non aprano prima dell’una di notte per tirare fin dopo l’alba, quando una massa di storditi va a cercare l’ultima emozione col turbo a 150 l’ora sulle strade? Certi costumi pubblici e privati non sono un contributo allo sballo di una generazione che ha già fin troppi problemi per inserirsi nel lavoro? E non è doveroso mettere dei paletti a chi, in nome del liberismo irresponsabile, specula sulla pelle dei più deboli?
Anche nel caso Curcio, “il cinese” si è trovato dall’altra parte, che non è necessariamente quella sbagliata, ma sicuramente lontana da tanti suoi compagni di strada. Che cosa gli rimproverano? Anzitutto di discriminare il fondatore delle Brigate rosse, di non riconoscerlo come cittadino uguale agli altri, nonostante abbia pagato fino in fondo il suo conto con la giustizia e sia tornato un uomo, si fa per dire, libero. Ora, ridurre la questioni in termini così manichei di bene e male, legalità e illegalità, è troppo semplice per non essere fuorviante. Accettare o non la presenza di Curcio in una sede pubblica, istituzionale, comporta una valutazione di opportunità cui la politica non può sottrarsi, tanto meno in questi giorni, mentre si scopre con sgomento che il terrorismo interno non è mai morto. Nessuno vuole negare a Curcio il diritto di lavorare, scrivere, fare ricerca, fare insomma la sua vita; ma nel momento in cui esce dal privato per comparire sulla scena pubbli ca, non si può dimenticare che non ha mai rinnegato il suo passato, cioè non ha mai avuto la forza di ammettere i tragici errori commessi o ispirati. In questo senso si presenta come un simbolo di coerenza (o di pervicacia); comunque simbolo di un tempo che vorremmo solo dimenticare.
(Camillo Arcuri)