Comune & C./1 – Le società partecipate senza partecipazione
“Società partecipate”: intanto è già un bel nome. Perché dà l’idea della democrazia (ricordate la canzone di Gaber “La libertà è partecipazione”?). Poi sembra che abbiano contribuito a migliorare la finanza dei Comuni. Che erano diventati dei carrozzoni dove le spese del personale assorbivano tutto il bilancio. Invece con le “partecipate”, quote di risorse finanziarie e umane sono state predestinate a servizi, infrastrutture, progetti economici vari e così sottratte alla voragine comunale. L’intenzione era buona e i risultati, dicono gli amministratori di tutta Italia, sono stati ottimi. Il comune di Genova, per esempio, aveva, fino al 1996, 80 direzioni generali e affogava nella burocrazia laddove ora le stesse sono ridotte a 15 e “le cose funzionano egregiamente”.
Di quanto “funzionano egregiamente” si parlerà sicuramente nella prossima campagna elettorale. Resta il fatto che nel giro di poco più di dieci anni, a Genova è nata una holding di cui fanno parte oltre 60 società “controllate o partecipate” dal Comune che, di 13 di queste (Amiu, Ami, Amt, Aster, Porto Antico, Themis ecc.), possiede anche la maggioranza. Il fatturato complessivo della sessantina di società era nel 2005 di circa un miliardo di euro corrispondente a 6.800 dipendenti direttamente occupati. Poche centinaia di meno degli occupati del comune di Genova. Basterebbero questi soli numeri a provare che la holding delle “Partecipate” è importante come l’azienda comunale. Anzi di più: perché ad esse compete l’iniziativa del Comune in ogni settore economico, sociale, culturale della città.
Una mappa delle “Partecipate” del comune di Genova era già apparsa su BJ Liguria Business Journal (n.7-8, 2005), ma l’attenzione su di esse è stata rinverdita di recente da Repubblica (8 febbraio ’07) e dal Secolo XIX (9, 10, 14 febbraio ’07). Frivolo l’approccio di Repubblica, del genere “vecchie conferme e volti nuovi”. Più documentata l’inchiesta del Secolo XIX che permette di capire come una straordinaria massa di risorse pubbliche, finanziarie ed umane, sia gestita da società (le “partecipate”) a cui il Consiglio comunale fornisce gli indirizzi generali e il sindaco nomina i rappresentanti del Comune nei vari consigli di amministrazione, oltre – a volte – presidenti, amministratori delegati ecc.
Dopo di che le società si muovono al di fuori di qualsiasi controllo gestionale e politico che non sia quello previsto dalla legge. Tanto per fare un esempio: dopo una bella discussione in Consiglio sulle cose che deve fare l’Aster e di come deve usare le risorse a sua disposizione la questione è chiusa fino a quando si dovranno rinnovare i membri del Consiglio di amministrazione o il presidente o simile. Se si pensa che le “Partecipate” amministrano una massa di risorse enorme, bisogna convenire che il sistema attuale sembra pensato proprio per togliersi dai piedi qualsiasi forma di controllo dell’opinione pubblica.
(Manlio Calegari)