Precari/1 – E’ suonata l’ora dei senza diritti
8 febbraio. A Palazzo Ducale la grande sala del Maggior Consiglio è strapiena, la Regione è lì per presentare il suo piano di graduale stabilizzazione del lavoro precario e per raccogliere consensi: nei prossimi tre anni, attraverso il metodo dei concorsi con riserva di posti, 1000 lavoratori verranno assunti in pianta stabile da Regione, Arpal, Datasiel. L’evento è pilotato da una attenta regia. La sala è divisa in aree: qui i precari della Regione, lì quelli di Arpal, in quell’altra zona quelli di Datasiel, a destra la sanità, a sinistra gli Ircs Gaslini ed Ist che per il momento non sono inclusi nel processo. Vietato sedersi nei posti sbagliati.
Si sa che, oltre ai brevi interventi degli oratori ufficiali, parleranno una quindicina di lavoratori “espressi” dalle varie aree di appartenenza, ma non viene detto con quali modalità è avvenuta questa selezione. I primi tre interventi fanno sorgere il cattivo pensiero che l’attenta regia abbia operato anche su questo fronte, tanto che quando la quarta precaria dice “sarò un po’ più polemica dei colleghi che mi hanno preceduto” viene sommersa dagli applausi. Burlando non si scompone affatto e conferma in pieno il precedente cattivo pensiero, dicendo con paternalistica serenità “mi ero raccomandato con i ragazzi (?) di non fare una assemblea proprio celebrativa”.
Però, attenta regia o meno, il fatto oggettivo resta: la Regione Liguria affronta il problema del precariato partendo da sé, e nel corso della mattinata si sviluppa un dibattito vero animato da Floris, quello di Ballarò, che cerca di far venire alla luce le ragioni, i costi e i benefici di tutta l’operazione e chiede: “Chi sono questi precari? Che cosa ci guadagna ora la Regione a stabilizzarli? Cosa ci guadagnava prima ad averli come precari?” Sul “chi sono” risponde l’assessore Pittaluga: l’età media è 40 anni, per il 49% sono donne, il 50% è laureato. I perché queste persone siano lì da anni sotto forma precaria vengono esplicitati da più voci: è stato un modo per aggirare il blocco delle assunzioni, un sistema per utilizzare i fondi dei progetti comunitari anche per coprire – impropriamente – l’attività ordinaria dei vari enti, uno strumento per gestire delle clientele.
Per spiegare cosa ci guadagni ora la Regione nel fare questa operazione Pittaluga dà una motivazione “politicamente corretta” dicendo che “ora le persone investiranno di più nel loro lavoro”; Burlando invece risponde con una parziale autocritica: “La precarietà l’abbiamo voluta anche noi, lo scopo era aumentare la competitività, ma questo non è avvenuto, e ora bisogna cambiare”. Nessuno fa riferimento a una contropartita pure importante: la capitalizzazione di consenso politico.
(Paola Pierantoni)