Informazione – Free-service per fare giornali senz’anima

Il nodo più stretto, finora inestricabile, del garbuglio giornalisti-editori, protagonisti di una vertenza senza fine, è lo stesso che sta soffocando l’informazione. Si chiama dipendenza dal potere economico-politico e dai suoi strumenti di condizionamento, di cui la pubblicità, palese o occulta, è solo uno dei tanti. Per capire qualcosa di più su quanto sta succedendo nei giornali basta guardare -non subire – la Tv: a cominciare dai suoi Tg, vero capolavoro di reticenza, elusione, censura-autocensura, sudditanza verso chi conta.


Non è certo un caso (come nota giustamente Marco Travaglio nel suo ultimo istruttivo libro, La scomparsa dei fatti, il Saggiatore, Milano) se le notizie scomode escono sempre prima sui giornali, quelli stampati, e solo a distanza di tempo, se proprio diventa imbarazzante continuare a tacerle, vengono riprese i n Tv. E’ proprio questa “anomalia” -ovvero la fastidiosa autonomia del giornalismo investigativo e di analisi, la sua capacità prima di scovare i fatti nascosti e poi di spiegarli – che si vuole correggere, per non dire sopprimere.
Il modello di informazione che piace a gran parte degli editori è quello della free-press, termine ingannevole fin dalla definizione del genere perché non c’è nulla di meno libero di un foglio che dipende dai grandi collettori di pubblicità ed è costituito da una sequela di dispacci senza qualità, notizie usa e getta, apparentemente neutre, prive di qualsiasi elemento, tanto meno di scrittura, per aiutarne la comprensione al di là dell’impatto emotivo (di qui la predilezione per gli effettacci di cronaca). Ai manager che sempre più numerosi sbarcano nell’editoria quotidiana dopo essersi fatti le ossa e la mentalità nell’industria delle scatolette o nella vendita di auto, suonano come barzellette i principi costituzionali sulla libertà di stampa, diritto che tutela chi scrive ma soprattutto chi legge i giornali.
Ora quei teo-con sono passati alle vie di fatto: basta con le garanzie contrattuali, grazie alle quali i professionisti dell’informazione fanno del loro meglio per creare grane (con banchieri come Fazio e Fiorani, con riveriti imprenditori quali Tanzi e Cragnotti, con abili finanzieri tipo Ricucci e Consorte), oppure per sollevare scandali che hanno fatto rotolare teste del calibro di Previti, braccio destro del Cavaliere, o tagliare il potente “orecchio” del Sid, quel tale Pompa che gestiva anche un supermarket dello spionaggio ad uso privato. Fine di queste “libertà”, di queste licenze. Redazioni, ancor meglio “service” (agenzie di appalto lavori), con precari e giornalisti, o aspiranti tali, intimiditi, privi di garanzie, esposti a qualsiasi pressione o minaccia, sono l’ideale per una free-press che non crei più problemi, ma assicuri solo un veicolo da riempire di pubblicità. E i lettori? Parco buoi, secondo gli strateghi dei giornali senza corpo né anima.
(Camillo Arcuri)