Università – L’arte difficile di consigliare

Credete che consigliare sia cosa da poco? D’accordo, l’ho già detto, ci sono gli schemi di base ma l’offerta in certi ambiti è davvero da lasciare storditi; gli studenti e pure i tutor. Per le sole lauree triennali della facoltà di Lettere e Filosofia ho contato più di 260 insegnamenti. Un tutor, con tutta la sua buona volontà, quanti può averne frequentati durante il suo percorso universitario? Esagero: non oltre il 10 per cento. Ed è quanto allo studente dici subito. Prima ancora che apra bocca per porre – in tutte le varianti e sfumature possibili – la fatidica domanda “cosa mi consigli di mettere?”. E questa è la versione più classica.


Poi ci sono gli studenti più arditi, i fancazzisti, che propongono la stessa ma in una versione più diretta: “cos’è è più facile?”. Rari, ma non mancano, i casi particolari: “qual è la cosa più bella?”. E qui la tentazione è di intavolare un confronto sul significato di “bello”, per passare poi a riflettere sul relativismo e sull’atteggiamento antimetafisico della filosofia dello scorso secolo, magari con una breve digressione sull’esistenza di Dio o sul perché appena si accende una sigaretta alla fermata, il bus arriva immediatamente. Ma gli altri studenti in attesa delle mie prestazioni non apprezzerebbero sicuramente tanto debordare.
Resto con i piedi per terra e mi limito a far osservare all’interlocutore come i gusti e le passioni siano personali e che quella è l’occasione, se già non l’ha fatto, di riflettere sulle sue pulsioni intellettuali. Quando glielo dico restano delusi; forse anche un po’ offesi, si vede benissimo. Leggo nella loro espressione accigliata la domanda che finora, ad oggi, nessuno ha ancora avuto il coraggio di assestarmi in piena faccia: “ma allora tu qui che ci stai a fare?”
(The Pupil)